Il Circolo Lettura Cannara racconta 'Chi dice donna dice Dante'

Nascita e realizzazione del progetto per un'educazione alla battaglia sulla conquista della parità di genere.
Nella notte tra il 13 e il 14 Settembre 1321 moriva a Ravenna uno dei poeti, scrittori e politici italiani che più di ogni altro era destinato a lasciare un segno indelebile nella cultura, letteraria e non solo, di tutte le generazioni a seguire: il padre della lingua italiana Dante Alighieri.
In occasione del 700° anniversario della sua morte, il Circolo di Lettura Cannara (facente parte del Centro Sociale e Culturale ANCeSCAO Cannara) ha voluto celebrare il Sommo Poeta con un progetto di lettura rivolto agli alunni delle scuole secondarie di primo grado che, con l'affiancamento dei docenti curriculari, conducesse i ragazzi ad avvicinarsi al capolavoro letterario più imponente di tutti i temi, la Divina Commedia.
https://www.ancescao.it/arte-e-cultura/1485-cannara-chi-dice-donna-dice-dante#sigProIdf37b579555
"Chi oggi legge i versi della Commedia si trova certamente davanti ad una scoperta sorprendente: benché scritte settecento anni fa, le parole 'medievali' di Dante sono capaci di interrogare anche il nostro presente di persone del ventunesimo secolo, di mettere a fuoco questioni universali, aiutandoci a comprendere le dinamiche dei nostri stessi sentimenti. - raccontano le volontarie referenti del progetto - Di terzina in terzina Dante diventa così nostro contemporaneo, artefice di uno dei massimi capolavori letterari di tutti i tempi, specchio e similitudine di una società complessa, simbolica, ricca di metafore e allegorie".
La necessità di riflettere insieme ai ragazzi su temi di attualità sociale
Proprio questa è l'idea che ha animato il progetto del Circolo di lettura Cannara 'Chi dice donna dice Dante', quella di condurre i ragazzi ad acquisire maggiore consapevolezza di sé e del mondo in cui vivono confrontandosi con le vicende, le glorie ed i tormenti interiori di personaggi indimenticabili che nell'immaginario collettivo rappresentano prototipi di tipologie umane e di codici valoriali universalmente riconoscibili.
I percorsi proposti hanno convogliato l'attenzione sulle tre donne simbolo dei canti presi in esame, ovvero Francesca da Rimini, Pia dei Tolomei e Piccarda Donati. Le loro storie, raccontate attraverso le parole di Dante nella Commedia, hanno stimolato la riflessione sul tema della violenza sulle donne e del diritto di autodeterminazione negato.
Il tragico amore di Francesca da Rimini e del suo Paolo hanno ispirato, da Dante in poi, tantissimi artisti, tanto da diventare, in epoca romantica, la coppia simbolo della passione irrefrenabile, che non conosce limiti e non può essere controllata dalla ragione. Dante, con i suoi celebri versi, ha reso per sempre immortale il ricordo dei due sfortunati amanti, uccisi per mano del marito di lei a causa della loro relazione clandestina. Rappresentati come anime inseparabili, che anche da morti procedono per mano sospinti dal vento, Dante non si esime dal condannarli alle fiamme infernali, ma al contempo esprime nei loro riguardi una tale pietà e compassione da alleggerire agli occhi dei posteri il loro imperdonabile peccato morale. Ed insolitamente è proprio lei, Francesca, a parlare per entrambi, ripercorrendo con indimenticabile pathos le vicende che li condussero alla tragica morte. Alla donna peccatrice quindi il Poeta concede non solo la voce, ma anche la possibilità di raccontare la verità, di scagionare sé stessa e il proprio amante.
Nel canto V del Purgatorio il Sommo Poeta ripercorre in pochi ma indimenticabili versi la storia della dolcissima Pia dei Tolomei, morta per mano del marito accecato dalla gelosia. Il Poeta dedica quindi pochi versi alla donna, ma gli stessi risultano talmente incisivi da venire ritenuti fra i passi più belli della Commedia, soprattutto per la delicatezza con cui Dante rappresenta la figura elegante e femminile di Pia che prega affinché la sua storia, insanguinata da gelosia e violenza, non venga mai dimenticata.
Nel canto terzo del Paradiso, Dante da voce ad una delle figure più importanti di tutta la Commedia, Piccarda Donati, già nominata in un canto del Purgatorio. La donna aveva scelto la vita monastica per profonda vocazione, unendosi all’ordine delle clarisse fondato da Santa Chiara d’Assisi, ma il fratello Corso, contrario alla sua scelta, ordì il suo rapimento dal monastero obbligandola a sposare un uomo che non amava. Fonti storiche dimostrerebbero che la donna sia morta poco dopo il sequestro. Dante lascia velatamente intendere di condannare profondamente questo gesto, anche se in quel tempo era ritenuto niente affatto riprovevole, tanto da punire Corso gettandolo tra le fiamme infernali. Implicitamente quindi il Poeta apre la strada alla riflessione sul tema della negazione di quello che oggi viene riconosciuto come diritto di autodeterminazione delle donne, tema di grandissima attualità e rispetto al quale i ragazzi hanno necessità di maturare una più profonda consapevolezza.
Sdoganando il celebre detto popolare “Chi dice donna dice danno”, retaggio culturale di una cultura sessista e più o meno velatamente discriminante, il progetto lettura ha avuto quindi l’ambizione di guidare i ragazzi verso una riflessione consapevole sul ruolo della donna nella storia e nella società contemporanea.
Perché quelle donne a cui in pochi disconoscerebbero la legittima “quota rosa” o il diritto al voto sono le stesse a cui viene ancora troppo spesso negato l’accesso alle professioni di nicchia, ai dibattiti e ai tavoli decisionali sui temi di maggiore rilevanza socio politica.
Questa omertosa disparità di diritti e di opportunità viene da secoli tramandata e “nutrita” dalle parole, dalle consuetudini sociali e dai retaggi culturali, tanto da poter affermare che il linguaggio, anche nel 2021, continua ad “uccidere” allusivamente la possibilità delle donne di essere pienamente se stesse e di mostrare il proprio valore. L’impianto verbale maschilista ancora oggi sostiene e giustifica il sessismo e la donna, vittima sacrificale dell’uomo padrone e prevaricatore, muore di violenza domestica ma ancor prima muore di linguaggio. Questo è quello che succede ogni volta che pur ricoprendo una posizione professionale di prestigio le chiedono se oltre a quello sia anche mamma, è quello che accade quando si rifiutano di chiamarla “sindaca” o “avvocata”, o quando gli uomini ritengono necessario spiegarle cose che conosce perfettamente o ancora quando nei dibattiti le chiedono di mostrarsi composta, di abbassare i toni e possibilmente di “stare zitta”.
Qualcuno potrebbe ritenere questo tema un tema “minore”, avallando la tesi secondo la quale per “difendere” e sostenere il ruolo delle donne ci si dovrebbe soffermare su ben altre battaglie piuttosto che “fare le pulci” al linguaggio popolare. Ma la tragedia semantica non testimonia forse una sconfitta etica? La morale tradizionale passa necessariamente attraverso le parole e il linguaggio è uno strumento per comunicare ma anche e soprattutto per educare, per discernere il bene dal male, per attribuire valore alle cose e alle persone, agli uomini e alle donne. “La politica del linguaggio in questo scenario non sembra la cosa più importante da perseguire, ma è invece quella da cui prendono le mosse tutte le altre, perché il modo in cui nominiamo la realtà è anche quello in cui finiamo per abitarla” (Stai zitta…e altre nove frasi che non vogliamo sentire più, Michela Murgia).