Assemblea Nazionale: la relazione introduttiva del Presidente

In occasione dell'Assemblea Nazionale, il Presidente uscente Esarmo Righini, nella sua relazione introduttiva ha elencato i traguardi raggiunti dall’Associazione nel triennio e tracciato il contesto sociale nel quale ANCeSCAO A.P.S. opera.

 Tra i traguardi raggiunti si segnala con particolare interesse il grande lavoro effettuato dall'Associazione Nazionale sul tema statutario (aggiornamento dello Statuto Nazionale al Codice del Terzo Settore e impostazione statuti tipo per i centri e strutture territoriali) e sul tema del tesseramento. Nella relazione sono state anche analizzate anche le dinamiche e lo sviluppo territoriale dell’Associazione e alla riorganizzazione interna della struttura tecnico operativa.

E' stato inoltre fornito un quadro del contesto sociale nel quale ANCeSCAO A.P.S. opera indicando tendenze e fenomeni sociali con i quali l’associazione sarà chiamata a confrontarsi in futuro.

Di seguito la relazione:

Concreti, affidabili, sociali: ANCeSCAO nella società che cambia

Il mondo cambia e la nostra associazione è chiamata a modificare il proprio modo di essere e di fare.

Tre sono i cambiamenti più rilevanti:

A) La chiusura della finestra storica che prevedeva pensione a 50-55 anni, liquidazione sicura e posti di lavoro per i figli probabili, si è chiusa. È questa finestra che ha consentito, a partire dagli anni ’80, l’esplosione del tempo dedicato dalle persone in pensione a fare volontariato nelle associazioni. Oggi le organizzazioni più longeve e strutturate (con maggiori competenze nella gestione della burocrazia e della democrazia interna) vedono un calo costante dei propri iscritti. È un fenomeno naturale dovuto al fattore prima indicato: se vado in pensione a 68 anni ho meno tempo da dedicare al volontariato, magari devo anche occuparmi di mio padre che sta male e dei miei figli che non hanno ancora trovato lavoro. Il fenomeno del volontariato non è scomparso. Persiste in organizzazioni informali che hanno un saldo di aperture e chiusure annuali molto elevato e una numerosità decupla rispetto alle organizzazioni tradizionali. È un mondo con cui bisogna fare i conti. Non sono le organizzazioni antiche, sono molto più numerose, sono molto più volatili come stabilità, sono presenti spesso sui problemi nuovi su cui le vecchie organizzazioni faticano a intervenire

B) Il secondo fenomeno riguarda l’aumento della burocrazia. Il mondo va veloce, e in particolar modo nel nostro Paese, domina l’idea di poterlo gestire attraverso una iperproduzione normativa. Questo fa sì che ci siano continuamente norme in contrasto tra loro, il rispetto delle quali conduce alla paralisi chi tenta di operare in modo proattivo e imprenditivo. È una giungla nella quale non è facile districarsi. Lo vediamo nelle nuove norme che riguardano la riforma per il terzo settore. Un ginepraio degno di miglior causa che impone competenze nuove per la gestione dei nostri circoli

C) L’ultimo fenomeno, il più rilevante, riguarda la modifica del sentimento sociale diffuso: le reti familiari e sociali vanno evaporando, le persone, sempre più sole, faticano a fidarsi degli altri e allo stesso tempo, aggredite da continue sollecitazioni immesse dal web, coltivano una pericolosa bulimia di beni e di esperienze che non sono raggiungibili anche solo per un fatto meramente temporale: le sollecitazioni che la società ci propone richiederebbero giornate di 1000 ore. Cresce così un risentimento infinito dovuto al fatto che la vita pone dei limiti a un desiderio che è illimitato e nessuno si fa carico di spiegare che questo desiderio va governato. Così le istituzioni a tutti livelli si trovano a fare i conti con cittadini risentiti che pretendono cose impossibili. E allo stesso tempo le persone che frequentano le nostre organizzazioni portano queste fatiche e una minore propensione alla costruzione paziente di accordi con l’altro, al sacrificio per raggiungere obiettivi comuni. Non è semplice fare lavoro sociale oggi.

A fronte di questi cambiamenti è ineludibile una svolta nelle competenze di chi è chiamato a gestire i nostri centri. Serve una nuova managerialità, che riesca a coniugare la passione sociale che ci contraddistingue, con la capacità di inventare nuove forme di gestione dell’organizzazione e di presenza nel contesto Sociale.

- Restare fermi a gestire l’esistente rischia di portare i nostri circoli ad essere un piccolo mondo antico che eroga un prodotto, anche significativo, ma per una nicchia destinata a scomparire: fare manutenzione delle relazioni in quella fascia di popolazione anziana appassionata a vivere in modo sociale l’ultima fase della vita significa concentrarsi su un target in esaurimento. Le persone sono sempre più individualiste, sprovviste di reti, impaurite, depresse, rancorose. Vanno intercettate in modo nuovo : avvicinandosi alle loro difficoltà, magari allestendo piccoli prodotti molto semplici che le aiutino ad uscire dal loro isolamento; ad esempio piccole riparazioni a domicilio gratuite, erogate da artigiani in pensione; iniezioni a domicilio a cura di infermieri in pensione; piccole commissioni burocratiche: ognuna di queste micro azioni è una scusa per entrare in contatto con persone sole; se chi riesce a superare la diffidenza entrando in queste case e riferisce a un gruppo di quartiere o comunale che guarda questi fenomeni, potremo costruire nuove vicinanze e nuove solidarietà in grado di rendere la nostra associazione in sintonia con le trasformazioni della società.

- Un’altra strada rischiosa è quella di fare il compitino: continuiamo a giocare a burraco, a ballare il tango e a mescere il vino, assumendo un bravo commercialista che ci tiene in regola i conti. È sicuramente importante seguire le regole che la legge ci impone e che sono, come si è detto prima, molto più complesse. Tuttavia la sopravvivenza della nostra associazione richiede uno scatto di natura strategica rispetto a ciò che eroghiamo come servizio ai nostri associati e alla società. Altrimenti non ci sarà più ragione per cui un comune dovrebbe dare la sede in uso a noi e non a un altro gruppo.

- Il terzo rischio che vedo è quello di una managerialità d’assalto, tutta centrata sull’utile economico, prodotto da una somma di egoismi: i centri come un condominio di persone che non si parlano, utilizzano le varie stanze in vari orari, facendo ognuno le sue cose, magari con introiti significativi, ma con nessuna tensione sociale. Questo centro sociale come inteso come condominio utilitarista non ha nulla a che fare con la nostra storia. Meglio allora diventare imprese profit. Se dobbiamo essere una casa dove tutti cercano di trarre qualche vantaggio fiscale per le attività pseudo commerciali di ognuno, tanto vale chiudere la baracca. La capacità manageriale serve, nel senso di lettura di un contesto e dei suoi bisogni per rimodulare le nostre offerte in ragione delle esigenze del cliente territorio. Voi mi direte che questo è nè più né meno quello che fa un’impresa. Da un certo punto di vista è vero. Ma allo stesso tempo c’è uno specifico che caratterizza Ancescao: la costruzione di relazioni dotate di senso per le persone e questo aspetto non è garantito se il nostro obiettivo è soltanto l’utile economico. Ci sono leggi del funzionamento sociale che non vanno dimenticate. Tante persone aggregate intorno ad iniziative dotate di senso ne attraggono altrettante. E un numero elevato di persone attrae risorse di varia natura: finanziamenti, locali messi a disposizione, attrezzature. Non so se tutti sanno che ci sono 115 miliardi di eredità senza eredi in Italia. Credete che se facciamo iniziative che servano alle persone non potremo fruire anche di questo capitale? La storia insegna che a gruppi di persone appassionate a una scommessa sociale non sono mai mancate le risorse per proseguire il loro cammino. Molto più facile che imploda un’associazione se si limita a una sterile lotta egoista per chi guadagna qualche euro in più condividendo un po’ di spazi in modo meramente utilitaristico.

Serve allora un quarto modello in grado di coniugare una capacità manageriale (apertura di nuovi mercati sociali con nuovi prodotti), con la passione sociale di essere vicini alle persone, e con la competenza nell’amministrare il complesso dedalo di norme che ci è richiesto di rispettare.


Dovremo erogare i nuovi prodotti sociali, uscendo dai nostri confini, alleandoci con nuovi attori: rigenerare un parco con altre associazioni includendo non solo i cittadini già attivi, ma anche quelli che non lo sono e magari anche un po’ di profughi, significa costruire un prodotto riconoscibile da tutti come utile (un parco rigenerato è un bene comune) e nel contempo costruire nuove relazioni e nuove integrazioni sociali. Sono questi i prodotti di cui ha bisogno la società oggi. Prodotti con una sorta di doppio fondo: uno strato visibile e riconoscibile da tutti come utile (un parco sistemato, uno scambio di oggetti usati, ecc) e un altro strato meno visibile, ma assolutamente decisivo che riguarda la costruzione di nuove relazioni fiduciarie, di nuove reti in un mondo che va sempre più verso l’autismo e il narcisismo solitario di tutti.

Per fare tutto questo dovremo allearci con nuovi attori che non sono necessariamente soltanto le organizzazioni del terzo settore. Ci sono pivot informali che gestiscono una quantità enorme di relazioni sociali nello svolgimento del loro lavoro quotidiano: parrucchiere che raccolgono i dolori di donne che mentre si lavano i capelli raccontano di essere picchiate del compagno; baristi che raccontano di avere quotidianamente nel loro esercizio commerciale persone separate, depresse che passano la giornata davanti a un bicchiere; bancari che vedono scendere i conti correnti delle famiglie; bibliotecari sgomenti da come le madri trattano i loro figli; vigili urbani che constatano risse condominiali quotidiane; assicuratori che entrano in famiglie con grosse difficoltà ad arrivare a fine mese anche se sono sopra la soglia ISEE. È con questi nuovi operatori sociali informali che possiamo costruire alleanze e nuovi prodotti per la società. Con un nostro stile ovviamente.

Non è una sfida facile. Molti Centri minori, centrati sul piccolo mondo antico chiuderanno. Altri sopravviveranno un po’ di più con la buona gestione dei conti. Altri rischieranno la deflagrazione a causa delle competizioni interne tra chi sta investendo sui nostri circoli soltanto in un’ottica profittatoria.

Una grande organizzazione nazionale come la nostra ha il dovere di investire per far crescere una nuova managerialità sociale che non è in nessun modo un cedimento all’economicismo, ma ha cura di declinare in modo nuovo e inedito la scommessa sociale che è alla base della nostra esistenza associativa.

[In collaborazione con il Dott. G. Mazzoli]

2019